Il 5° pilastro della SEO integrale è la link equity, cui corrispondono tutte le attività volte a incrementarla in modo più o meno diretto e che cadono sotto i nomi di link building, link earning, linking strategy e altre varianti più o meno esotiche del termine.
Per “link equity” intendo qui in generale il valore trasmesso dai link ad un contenuto che li riceve. Il medesimo concetto si trova espresso sotto una varietà di altri nomi che vanno dallo storico “PageRank” alla “link juice” fino alla più generica “popolarità” o “autorevolezza” di un sito.
Il fattore chiave per lo sviluppo della link equity
Riprendendo la metafora antropomorfica vista nei precedenti pilastri, se i contenuti sono il cuore del sito, la link equity ne rappresenta l’anima o lo spirito: il suo valore è infatti tanto elevato quanto impalpabile e immateriale.
La parte più profonda del pilastro #5, difficile da ottenere per un essere umano, ancor più difficile da decodificare, a quanto pare, da parte di algoritmi e sistemi di intelligenza artificiale è l’autorevolezza.
La capacità di riconoscere, attrarre e conquistare questo magico “elisir” è la chiave per plasmare questo 5° pilastro. La massima realizzazione cui può giungere un SEO su questo pilastro è quella di riuscire ad attrarre la maggior quantità possibile di autorevolezza disponibile in un dato mercato/settore, al minor costo possibile e senza penalizzazioni da parte di Google 😀
Se fino a questo punto è stato abbastanza evidente il principio di inclusione progressiva dei pilastri precedenti, potrebbe sembrare a prima vista più difficile che la link equity trascenda e includa i contenuti e, con essi, tutti i pilastri precedenti. Eppure è esattamente così. I link trascendono e includono i contenuti. P5 include P4 e, con esso, tutti i pilastri precedenti P1-P3.
Vediamo come questo avviene nello specifico.
Da dove arriva il valore dei link
Riesci a immaginare un link senza un contenuto che lo ospiti e senza un altro che ne sia la sua destinazione? Impossibile. Non sarebbe un link, sarebbe al più un link rotto.
I link nascono sempre dai contenuti, come i frutti nascono dagli alberi.Click To TweetMaggiore il valore del contenuto e maggiore sarà il valore trasferito dal link che emerge dal contenuto, così come la qualità di un frutto dipende strettamente dalla qualità dell’albero che lo ha prodotto.
I link possono essere offerti da un contenuto, o ricevuti da un contenuto ma quel che cambia in entrambi i casi è solo la prospettiva da cui si guarda. Il link è uno e può connettere tra loro solo due contenuti alla volta. In questo senso il link crea qualcosa di nuovo, di emergente, che prima non esisteva. Crea una relazione.
Questa relazione, che connette sempre solo due contenuti alla volta, si è espansa, link dopo link, fino a creare una rete estremamente ampia, che copre, per chi è in grado di seguirla, una vastissima parte se non la totalità del web (perlomeno quella non sommersa). I primi individui sul pianeta terra ad aver intuito l’enorme valore racchiuso di questa rete di relazioni e che sono riusciti a trovare un modo di “imbrigliarlo” sono stati i fondatori di Google: Larry Page e Sergey Brin.
Questa vastissima rete di link è ciò su cui si fonda il PageRank, l’algoritmo che ha reso possibile classificare i documenti del www con un livello di qualità sconosciuto prima dell’avvento di Google.
Nel corso del tempo diverse altre metriche e algoritmi sono stati inventati da terze parti per cercare di quantificare questo valore “impalpabile”, sopratutto dopo che Google ha deciso, nel 2013, di sospendere l’aggiornamento “pubblico” del PageRank assegnato ad ogni sito: Domain/Page Authority (Moz), Trust/Citation Flow (MajesticSeo), Url/Domain Rating (Ahrefs) sono solo alcuni delle metriche più diffuse nell’epoca in cui scrivo.
Ma torniamo adesso alla relazione di inclusione di questo pilastro con i precedenti, per coglierne tutte le enormi implicazioni rispetto alla SEO e al modo integrale di affrontare l’attività.
In che senso i link provengono dai contenuti e li includono
Dicevamo che un link nasce da un contenuto, e quindi lo include in sè trasmettendo parte del suo valore alla risorsa di destinazione del collegamento. La relazione data dal link trascende e include i contenuti che mette in relazione, mentre non vale il contrario.
Nota – Un contenuto non può mai includere completamente un link, al limite ne contiene una parte, quella esteriore rappresentata dal testo di ancoraggio, ma il valore del link è sempre qualcosa di “esterno” al contenuto che lo ospita, altrimenti non ci sarebbe nulla da “trasferire” con i link – non ci sarebbe stato neppure motivo di inventare l’attributo rel=nofollow, che elimina appunto alla fonte questo valore.
Ora, poichè i contenuti a loro volta includono tutti i pilastri precedenti, va da sè che il link include e trasporta con sè un distillato di tutti i pilastri o livelli precedenti. Quindi il valore di un link offerto o ricevuto dipende e varia a seconda del livello di sviluppo raggiunto – complessivamente – dai pilastri che include al suo interno.
Moltiplichiamo quel valore unitario per il numero di link unici (link da domini referenti diversi) complessivamente ricevuti da un sito e abbiamo un’idea del perché questo elemento della link equity possa essere il più influente di tutti i pilastri relativi al sito web (P2 e P4).
Il fatto che i siti di grossi Brand, con una elevata link equity, possano permettersi delle debolezze anche vistose sui livelli precedenti di ottimizzazione del sito web (P2-P4 ), non dovrebbe più stupirti a questo punto.
COROLLARIO: Non è Google ad assegnare un valore particolarmente elevato al “fattore link” rispetto ad altri fattori di ranking. E’ semmai la natura stessa del link, in quanto elemento più inclusivo e profondo di tutti gli altri, a conferire un peso e valore maggiore dei precedenti. Non potrebbe essere altrimenti.
Implicazioni pratiche del principio di inclusione al livello dei link
Una implicazione pratica di questo principio, l’abbiamo ad esempio in fase di valutazione del valore effettivo di un link che abbiamo ricevuto, acquistato o raccolto da iniziative di PR.
La domanda, più che lecita: quanto vale questo link? può trovare risposta solo analizzando in modo integrale il contenuto che lo ospita (P4), l’architettura informativa in cui è collocato (P3), il grado di ottimizzazione tecnica della piattaforma (P2) e infine, quanti/quali bisogni di ricerca il sito/contenuto in questione è in grado di soddisfare (P1).
Pensate poi all’impatto di questo principio in fase di link prospection.
Quanto tempo , energia o denaro vogliamo spendere su un potenziale link prospect che pubblicherebbe il contenuto + link – per quanto utile, approfondito e rilevante – in un sito dove il sistema di paginazione delle categorie è poco usabile (P3) oppure – ancora peggio – non è proprio accessibile (P2)?
Nel giro di qualche giorno, se non di qualche ora a seconda del flusso di contenuti pubblicati, quel link sparirebbe totalmente dal “radar” dei motori di ricerca e dalla vista degli utenti e, a parte un boost iniziale di traffico, non avremmo valore sostenuto nel tempo.
Quindi il valore potenzialmente trasferibile con un link dipende dal livello di ottimizzazione dei pilastri P1-P5 che, nel loro insieme, determinano il valore complessivo della risorsa che ospita o che offre il collegamento. P5 include P4.
Se mi hai seguito fino a qui, tutto il sistema dovrebbe apparirti ormai in tutta la sua dirompente bellezza ed efficacia 🙂
La link equity o autorevolezza, è a sua volta inclusa nell’ultimo dei 6 pilastri della SEO, lo scenario competitivo.